L’empatia emotiva nell’autismo

Nelle persone autistiche è carente la dimensione sociale della competenza emotiva come, per esempio, l’espressione delle emozioni nelle situazioni appropriate o l’attenzione alle emozioni altrui, che rende capaci di rispondere socialmente.

 Non si sviluppa, nel bambino autistico, un’adeguata capacità di elaborare cognitivamente gli stati emotivi, propri e dell’altro.

Allo stesso tempo, sono presenti espressioni emotive incongruenti, che possono sembrare esagerate, in alcune situazioni, o comunque inadeguate al contesto. La reciprocità sociale ne risulta gravemente compromessa.

L’evidenza che il soggetto autistico non riesca a gestire l’attivazione emotiva propria e non sappia dare un nome agli stati emotivi dell’altro, non significa che non percepisca il clima emotivo presente nell’ambiente, in cui è inserito.

È riconosciuta, piuttosto, la capacità di risonanza delle persone autistiche, per cui esse si fondono con elementi dell’ambiente o con gli stati emotivi degli altri. Riportiamo alcune testimonianze della Williams:

 

“E’ raro che io sappia che cosa qualcuno stia effettivamente pensando, ma il convergere di emozioni è abbastanza frequente.”

 

“Provavo fisicamente il dolore di quelli che prendevano delle botte. Accanto a qualcuno con una gamba rotta, sentivo fisicamente il dolore nella mia gamba.”

 

“Ricordo che a volte, in risposta a persone che mi avevano chiamato, andavo nella stanza dove si trovavano e rispondevo alle loro richieste, andando a prendere ciò che volevano. Loro sembravano sorpresi da questi comportamenti, perché non mi avevano chiamato, né mi avevano fatto domande, tanto più che in quel momento io ero occupata con cose mie.”

 

(Williams, cit. in Bodgashina, 2001, p. 102)

 

Spesso si fa riferimento alla dimensione emotiva, utilizzando la metafora dell’acqua; si parla, per esempio, di “onde emotive”, descrivendo l’emozione come un moto, che può comparire interiormente e si può espandere nell’ambiente, “contagiando” chi sta vicino.

Attraverso l’uso della mente, ognuno di noi contiene e dà forma alle emozioni che influenzano la vita di tutti i giorni (Sepe, Onorati, Folino e Rubino, 2014).

L’assenza di una struttura di personalità solida ed armonizzata rende questo processo molto difficile, per le persone autistiche. Esse, pur avendo un’estrema sensibilità per il mondo emotivo, non riescono a contenerlo. Le informazioni emotive, che arrivano dall’esterno, iniziano, allora, a risuonare in maniera profonda dentro il corpo emotivo dell’individuo autistico e, spesso, possono influenzare gran parte del suo comportamento.

Proprio per l’assenza di sovrastrutture, i soggetti autistici riescono meglio di chiunque altro ad entrare in risonanza emotiva con l’ambiente: questa risonanza non può essere decodificata né comunicata in maniera tradizionale.

Possiamo affermare che le persone autistiche hanno naturalmente una capacità di empatia emotiva, intesa come capacità di assorbire, senza filtri, le impressioni emotive che derivano dalle persone, presenti nei contesti in cui vivono.

Riportiamo un racconto, relativo ad una esperienza di soggiorno estivo con un gruppo di bambini autistici, che ci fa ben capire come si sviluppi questo meccanismo e come debba essere utilizzato dagli operatori che entrano in relazione con bambini e ragazzi autistici.

 

“L’evento particolare riguarda il rapporto tra Sandro (un bambino autistico di 7 anni) e Cinzia, la sua operatrice di riferimento. Conoscevo già Sandro, un bambino che sembrava comprendere tutto ciò che accadeva e che si diceva intorno a lui, ma che non diceva una parola.

Già dal primo giorno, Sandro comincia comportarsi in un modo particolare, secondo una modalità che avrebbe ripetuto parecchie volte, nei giorni successivi: ad un certo punto, in modo assolutamente repentino, senza alcun segno preparatorio, scappa velocemente, senza una direzione stabilita.

(…) Pareva che l’unico obiettivo di Sandro fosse quello di allontanarsi da Cinzia. Con lo scorrere delle giornate, fioccano le più svariate ipotesi sullo stranissimo comportamento di Sandro, che, in altri momenti, appare tranquillissimo. I genitori, interrogati in merito, ci confermano che Sandro non si era mai comportato così.

Dopo circa una settimana, Cinzia, estenuata dallo stress fisico ed emotivo, causato dalle corse e dalla loro apparente incomprensibilità, comincia a parlare del desiderio di andarsene.

(…) Dopo alcuni minuti di condivisione, appena entrati sul terreno emotivo, Cinzia, partendo dal rapporto con Sandro, comincia a condividere, in un fiume di lacrime, con il gruppo intero, una serie di angosce e paure della sua vita che il rapporto con Sandro avevano messo in luce. Il gruppo “accetta” le riflessioni e le emozioni di Cinzia, accompagnandole ad elaborare la sua angoscia profonda, venuta inaspettatamente alla luce.

L’indomani (…) fin dalla mattina Sandro è stranamente quieto e, per tutto il giorno, non realizza neanche un tentativo di fuga. La quiete di Sandro perdurò fino alla fine del soggiorno.

Comprendemmo che l’angoscia di Cinzia era il motivo delle fughe di Sandro: era uno stato emotivo sepolto sufficientemente in profondità per le “persone normali”, ma non abbastanza per un bambino autistico. Sandro, attraverso le sue “corsette” aveva “costretto” Cinzia ad occuparsi della sua angoscia sepolta ed il gruppo era stato lo strumento di questa trasformazione.”

(Sepe, Onorati, Zeppetella, Folino, 2009, p.20-21)