Una visione etica dell’intervento

Per intervento etico intendiamo una visione che tenga presente della reale natura della persona autistica, che rispetti le sue particolarità ed anche la sua diversità, attraverso l’utilizzo di strategie che possano essere di sostegno alla sua crescita.

 

 L’attitudine fondamentale che consente questo tipo di scambio, così autentico, è l’accettazione di sé e dell’altro, che parte dallo stabilire un livello di ascolto, teso ad entrare nella mente e nel cuore dell’altra persona, lasciandola entrare, a sua volta, nella nostra mente e nel nostro cuore.

Accettare profondamente un bambino autistico significa svuotare la mente dai nostri pregiudizi, e questo non è semplice. Significa anche imparare ad astenerci da qualsiasi tipo di giudizio e di critica, nei confronti del suo comportamento: anche questo non è semplice, soprattutto se pensiamo a quanto la critica faccia parte dei nostri scambi quotidiani.
Realisticamente, non possiamo pensare di riuscire a realizzare un’accettazione completa, prima di avvicinarci ad un bambino autistico. Ciò che lealmente possiamo fare è di compiere il nostro massimo tentativo, per svuotare la mente ed aprire il cuore, prima di interagire con lui, accettando che le sue reazioni potrebbero indurci ad entrare in rapporto con pensieri ed emozioni, rispetto ai quali non abbiamo ancora consapevolezza e che, inizialmente, potrebbe anche essere poco piacevoli.
La possibilità di riconoscere le emozioni altrui, non può prescindere dalla lettura delle nostre emozioni e dalla possibilità di interrogarci circa le nostre paure, desideri e motivazioni: quanto più siamo in contatto con le nostre emozioni, tanto più è semplice decodificare e riconoscere quelle dell’altro.
Nell’intervento che realizziamo dobbiamo sempre mantenere la visione chiara del fatto che stiamo partecipando ad un cambiamento della persona, che possa aiutarla ad essere maggiormente in sintonia con l’ambiente che la circonda, nell’ottica dell’ampliamento, a medio e lungo termine, del suo benessere.
Per realizzare tale benessere dobbiamo sempre chiederci cosa possa essere utile alla persona e alla crescita, piuttosto che prefiggerci, come obiettivi, quelli che noi riteniamo essere prioritari, ma che possono non essere quelli più utili. Infatti, la particolarità di ciascun bambino e ragazzo, rendono necessari obiettivi differenziati e specifici, nel rispetto sia delle possibilità espresse dalla persona autistica, che dei suoi interessi.
Non dobbiamo mai dimenticare, nell’intervento che realizziamo, che non possiamo violare il libero arbitrio della persona: questo concetto è valido per tutte le relazioni di aiuto.
Il fatto che la persona autistica non sia in grado di esprimere il proprio volere, ci pone comunque, di fronte alla necessità di rispettarlo.
Per questo, la comprensione del suo linguaggio, del suo volere, dei suoi desideri e, in generale, della sua conoscenza intima e profonda, è necessaria.
Ad esempio, rilevare gli interessi della persona è altrettanto importante che conoscere quali sono le sue potenzialità o i suoi limiti funzionali.
E’ anche profondamente etico pensare che la persona autistica abbia consapevolezza di sé, anche se l’espressione di tale consapevolezza è assente. Temple Grandin (2007, 2001), ad esempio, in diverse interviste ed in alcuni tratti dei suoi libri, parla di come fosse consapevole, fin dall’infanzia, delle proprie difficoltà e di quanto accadeva intorno a lei e dentro di lei.
Nella nostra esperienza abbiamo, spesso, rilevato che, insospettabilmente, una persona autistica riesce a comprendere anche dei messaggi particolarmente complessi, a patto che la comunicazione che veicola che questi messaggi possieda due caratteristiche: coerenza tra i vari livelli di comunicazione (verbale e non verbale) ed autenticità (piena rispondenza tra il piano mentale e quello emotivo).
Forse, nella persona autistica, può mancare la comprensione analitica di quanto stiamo dicendo, ad esempio, ma il significato del nostro messaggio ed anche la sua importanza, arrivano sicuramente alla sua consapevolezza.
Possiamo, quindi, affermare che, al di là delle notevoli difficoltà espresse dalla persona autistica, la stessa mantiene una percezione e consapevolezza di sé, con cui dobbiamo interagire e che dobbiamo rispettare, se vogliamo che il nostro intervento e la nostra relazione con lei, sia efficace ed utile alla sua crescita (sia essa sul piano educativo che dello scambio umano).
In proposito, è interessante ricordare che Temple Grandin suggerisce di condividere con il bambino la diagnosi di autismo, verso l’età dei 7 – 8 anni (2001) (Sepe, Onorati, Zeppetella, Folino, 2009).